di Nicus
Leggendo un commento qualche giorno fa, riguardo il presunto “luogo comune” della gentilezza dei giapponesi, mi è venuto in mente quello che è stato il mio primo impatto con il Giappone, l’ottobre del 2007.
L’aereo ha ritardato di quasi due ore. Un tifone ha spazzato la zona di Tokyo. Ne avremmo poi visto le tracce dai resti degli ombrelli spaccati che costellano gli angoli delle strade.
È quasi mezzanotte. Siamo tra gli ultimi a scendere. Il terminal del Narita è semideserto.
Attendiamo l’uscita dei nostri bagagli, con quell’ansia che si prova sempre in questi casi.
Ci scambiamo commenti fiduciosi sulla proverbiale precisione giapponese… che però si dimostra inerme di fronte all’altrettanto proverbiale pressapochismo Alitalia (sic): a Roma hanno sbagliato ad etichettare uno dei bagagli, che in questo momento sta vagando in qualche punto tra Roma e Seul.
Ci guardiamo in giro sperduti… ed ecco apparire dal nulla un funzionario dell’aeroporto.
Ci chiede cosa sia successo. In un attimo compila lui stesso il modulo di denuncia e porge all’esterrefatta proprietaria del bagaglio una busta con l’equivalente di 50 dollari in Yen, per il disturbo.
Da buoni italiani, la prima tentazione è quella di simulare uno smarrimento collettivo di bagagli.
La seconda è di guardarci intorno per capire dove sia la telecamera (“…sei su Scherzi a Parte!”).
Ma la telecamera non c’è. E non c’è quasi più nessuno a parte gli addetti alla sicurezza.
Approfittiamo del funzionario, fluentemente anglofono (una rarità in Giappone!), per chiedere indicazioni.
Scopriamo che l’ultimo treno del Narita Express parte tra meno di dieci minuti! Non ce la possiamo fare! Noi ci guardiamo preoccupati e lui sembra quasi più preoccupato di noi.
Per questo decide di accompagnarci personalmente attraverso la dogana, fino alla stazione… e davanti al mostro di macchina distributrice di biglietti.
Ora… chi è stato nella metropolitana di Tokyo sa cosa intendo… Quando devi prendere per la prima volta un biglietto rimani per un po’ interdetto. Vedi solo l’enorme mappa scritta in kanji.
Il panico non ti fa notare la versione, più piccola, in caratteri romani, né il pulsante “english” su alcuni distributori. Ma il nostro salvatore compra i biglietti e li distribuisce uno ad uno. Quindi ci accompagna fino alla banchina, dove il capostazione sta già facendo cenno di partire.
Ci fiondiamo dentro e le porte si chiudono alle nostre spalle. Riusciamo a malapena a ringraziarlo attraverso il vetro e lui ci ricambia con un inchino.
Un’ora circa di treno e arriviamo alla stazione di Ueno. Per nostra fortuna non è facile sbagliare: è il capolinea.
Come forse saprete, in Giappone non esistono dei veri indirizzi. Quindi, per raggiungere un posto, di solito ti mandano delle istruzioni dettagliate (tipo “…dopo la banca gira a destra, 120 passi fino alla cabina telefonica….”) o una cartina tipo “mappa del tesoro”.
A quanto ci è stato detto dovrebbero essere poche centinaia di metri dalla stazione.
In qualche modo guadagniamo l’uscita della stazione (non banale) e qui viene il bello: scopriamo perché Tokyo sia considerata una città su più livelli… Incrocio di 5 viali sul piano stradale, più un imprecisato numero di vie più piccole. Una specie di piazza pedonale soprelevata, con diversi passaggi pedonali soprelevati che si intersecano.
Al di sopra di tutto ciò, una express-way che taglia diagonalmente il piazzale. Sotto, un groviglio di sottopassi pedonali e la metropolitana.
Anche con una mappa in mano… non è come dirlo… OK: panico.
Mezzanotte passata.
Sbuchiamo dai sottopassi nel punto peggiore: sotto la superstrada. Le auto che passano non danno proprio l’idea di volersi fermare.
Valutato con il “metro” italiano (o anche americano) sarebbe un posto bruttissimo, dove ti aspetti che da un momento all’altro spunti dall’ombra qualcuno che ti vuole rapinare.
Fortuna che Tokyo non è New York… e nemmeno Milano o Roma.
I primi passanti, una coppietta, ci vedono smarriti e ci chiedono se abbiamo bisogno di aiuto.
Mostriamo la mappa del tesoro, che anche a loro non deve essere troppo chiara, perché cominciano a rigirarla e discutere tra loro. Nel giro di pochi minuti si sono fermati in sei o sette! Tutti guardano la mappa cercando di capire.
Alla fine ci aiutano a scoprire che dovevamo solo girare l’angolo… ed eccoci arrivati.
Questi sono stati solo i primi esempi di disponibilità dei giapponesi che abbiamo incontrato in quasi venti giorni.
Per la cronaca: nemmeno 48 ore dopo il bagaglio ci è stato recapitato in albergo.