3 commenti / di Alessandra Sanna / aggiornato: 10 Marzo 2022
Brano tratto da Storia del Giappone e dei giapponesi
Prima della partenza per la loro missione “senza ritorno”, era uso che i kamikaze scrivessero un’ultima lettera alla famiglia. Questa è stata scritta dal tenente Uemura Masahisa, venticinque anni al momento dell’attacco; è indirizzata alla figlia.
Sorprende di non trovare neppure una volta glorificazioni dell’atto che il giovane tenente si accinge a compiere, né dell’Imperatore né della causa del Giappone, ma soltanto consigli di buon comportamento rivolti alla figlia ancora piccola.
Motoko, mi guardavi spesso sorridendo, avevi l’abitudine di addormentarti tra le mie braccia e facevamo il bagno insieme. Quando sarai grande e vorrai sapere chi fosse tuo padre, chiedi a tua madre e a tua zia Kayo. A casa è rimasto un album con mie foto. Sono stato io, tuo padre, a darti il nome Motoko, pensando che saresti diventata una persona dolce e tenera, che si prende cura degli altri. Voglio essere sicuro che tu cresca felice e diventi una magnifica fanciulla, e anche se io muoio senza che tu possa conoscermi non dovrai mai essere triste.
Quando sarai grande e vorrai incontrarmi, recati al santuario di Kudan1. Se preghi con tutto il tuo cuore, ti apparirà il mio volto. […] Anche se mi è capitata la peggiore delle cose, tu non devi considerarti una figlia senza padre. Io sarò sempre lì a proteggerti. Ti prego, prenditi cura degli altri con tutto il tuo amore.
Quando sarai cresciuta e comincerai a pensare a me, ti prego di leggere questa lettera.
Sul mio aereo, ho portato come portafortuna una bambola che ti avevo regalato alla tua nascita. In questo modo sarai sempre con me.”
1Il santuario in questione dovrebbe essere il Yasukuni, situato al centro di Tokyo, sulla collina Kudan.
La lettera, potete trovarla nel libro di R. Calvet, “Storia del Giappone e dei giapponesi“, ed. Lindau.
E’ una lettera davvero toccante… e pensare che io la cercavo come ricerca di italiano, ma non serve a nulla così perché è già magnifica da se, quindi non gli toccherò una virogola e devo ringraziare la persona che ha messo questa lettera perché fa capire che nei momenti peggiori si pensa sempre positivo nonostante tutto.
Ciao Shimazu-san,grazie per il commento.
In effetti è un argomento controverso, la guerra può modificare le persone e la loro scala di valori. Noi non capiremo mai cosa si prova andare in guerra e rischiare la propria vita… noi condanniamo la guerra proprio perché non vogliamo sapere cosa si prova, e penso sia legittimo non volerlo sapere 🙂
E’ una lettere struggente.
Avevo già avuto in passato possibilità di leggere qualcosa che i kamikaze avevano lasciato, ma è davvero toccante, soprattutto perché, come dicevi tu, non accenna minimamente all’atto in questione ma solo della figlia Motoko.
Si è detto molte volte che i kamikaze non sono stati affatto moderni samurai. Io ho ancora dei dubbi a riguardo, ma leggendo questo mi è venuto da pensare che forse tali pensieri erano presenti anche nei guerrieri dell’epoca feudale, che lasciavano la propria famiglia senza sapere se sarebbero tornati.
Certo che è che in quel caso l’atteggiamento mentale era diverso, però si trattava sempre di uomini, no?